mercoledì 23 marzo 2011

GOODBYE GLORIOUS ICON.


È morta a settantanove anni Liz Taylor.
L'ultimo shooting della sua vita firmato Bruce Weber e con l'intervista di Grazia d'Annunzio.



Tutto di lei è sempre stato bigger than life: quella sensualità che la consacrò idolo di intere generazioni; la lista interminabile dei film interpretati e dei mariti avuti; la caratura da capogiro dei brillanti esibiti su un décolleté mozzafiato, i sentimenti forti di cui è stata eroina e, suo malgrado, a volte anche vittima.
Tutto di lei è ormai leggendario: gli occhi viola; i tre Oscar; gli amori torridi, appassionati, totalizzanti; la generosità smisurata e il forte impegno sociale, l’amicizia profonda e sincera; la sofferenza fisica e i tumulti interiori... Sì, certo, "cos’altro si può dire di lei che non sia mai stato detto o scritto?" scrive Bruce Weber alla fine di questo suo lungo, commovente tributo fotografico. "Già, cos’altro?" ci si chiede mentre il taxi sale sulle dolci colline di Bel Air diretto verso la villa dell’ultima grande star che Hollywood ci ha regalato.
Magari semplicemente questo, come subito si premura di raccomandarmi Tim Mendelsohn, suo segretario personale: "Per cortesia, non la chiami Liz. Magari Ms Taylor, o Dame Elizabeth (onorificenza britannica ricevuta nel 2000, ndr). Ma, per carità, mai Liz".

Perché quel diminutivo, ideato dal giornalismo planetario per stabilire il rapporto confidenziale che la gente comune sogna di avere con la star, a lei non è mai andato giù. Ecco, allora, iniziamo così: "Ms Taylor è un grande piacere poter parlare con lei oggi". E lei, regale, "È un piacere anche per me". Per un attimo chiudi gli occhi e ti accorgi che un’altra cosa di cui noi italiani siamo quasi completamente all’oscuro è proprio la sua voce, sempre puntualmente doppiata. Il timbro è sensuale, basso, soffuso, che ogni tanto irrompe in una risata giovanile, si arrampica senza sforzo in un’ottava superiore, in una tonalità quasi da bambina. Mitica Liz, pardon Elizabeth, con il suo stupore che sembra ancora candido, i suoi piccoli vezzi, il suo grande senso dell’umorismo, e il garbato piacere di raccontare storie, aneddoti, stralci di un’esistenza che ha conosciuto tutto tranne la noia.

Prendi per esempio i suoi gioielli, rutilanti, preziosissimi, da gareggiare con quelli di una vera regina. Una passione autentica, che sottintende altre passioni (quasi tutti sono stati cadeaux degli uomini che l’hanno amata) e che lei ha deciso di raccogliere in un libro che esce il primo ottobre in tutto il mondo. Titolo – emblematico – My Love Affair with Jewelry (in Italia edito da Leonardo Arte), con dedica “Ai miei adorati Mike e Richard (cioè Mike Todd e Richard Burton, ndr), i due più grandi amori della mia vita, e ai miei figli, senza i quali non ci sarebbe stata vita”.

"Ho sempre amato i regali", confessa, "sia farli che riceverli. Il primo l’ho comprato per la mia mamma, in occasione del Mother’s day". Piccola pausa. "Mike Todd mi ha davvero viziata all’inverosimile. Quei rubini... Mi riempiva di sorprese tutto il tempo. Ricordo quando mi innamorai di un paio di orecchini stile Marie Antoinette. Erano francesi, ovviamente antichi, di pasta di brillanti, enormi, quasi dei lampadari: stupendi. Lui me li comprò all’istante, e io li indossavo appena potevo. Eravamo in Europa, allora. Poi tornammo negli States. Ma la California non è molto social, non ci sono quelle serate all’Opera, quei balli... Così, non ebbi più occasione di metterli, e a dire il vero non li trovavo neanche più. Beh, un giorno Mike mi dà una scatolina, la apro e cosa vedo? Gli stessi orecchini, solo che erano stati riprodotti alla perfezione con diamanti veri, da togliere il fiato". Certo, non si stenta a crederle. Basta guardareuna delle foto scattate da Weber dove indossa una tiara di brillanti(sempre dono di Mike Todd) o ricordare, a titolo di cronaca, il diamante Krupp (carati 33.19) che Burton un bel giorno le mise al dito o l’altro anello di brillanti, taglio a pera, carati 69.42 che poi lei usò come pendente, tralasciando la perla Peregrina e le parure di rubini, zaffiri e smeraldi.


Tutto questo e altro ancora – vedi il capitolo curioso dei regali ricevuti da Michael Jackson – è racchiuso in questo libro che, nato da un’idea di Tim Mendelsohn, rientra in un’iniziativa di più largo respiro. Dal 1 ottobre fino al 14 presso la sede di Christie’s al Rockefeller Center di New York verranno esposti in esclusiva alcuni pezzi della sua collezione, mentre il 26 settembre, sempre da Christie’s, si è tenuta un’asta di creazioni firmate dai grandi nomi della gioielleria internazionale i cui proventi sono andati a beneficio dell’Etaf, l’Elizabeth Taylor Aids Foundation, che dal 1991 è in prima linea contro l’Aids. Ma non è tutto. Se i suoi gioielli sono ormai leggendari, un aspetto meno noto di Ms Taylor è la sua passione adolescenziale per il disegno e la scrittura. Viene ripubblicato a novembre, per Simon & Schuster Elizabeth Taylor’s Nibbles and Me, deliziosa cronaca di un’amicizia tra l’allora tredicenne Elizabeth e uno scoiattolino, corredata da illustrazioni dal sapore naïve (piccola nota a margine: nel servizio di Weber il quadro con i daini è stato dipinto proprio da lei e si trova nella sua camera da letto).

"Quello con Nibbles è stato un grande love affair", sussurra lei. "L’ho avuto con me per cinque anni e lo portavo dappertutto. Me lo infilavo in una tasca e via... È stato persino alla Casa bianca, dove ha incontrato la moglie dell’allora presidente Truman. L’avevo catturato nello stato di Washington con una rudimentale tagliola di cartone. Ho iniziato a raccontare di Nibbles perché dovevo fare un compito che mi era stato assegnato a scuola. Quando il preside lo lesse, mi chiese di ampliare la storia: e
c’era tanto da dire su questa creaturina così buffa, deliziosa, affettuosa, per cui non fu difficile trasformarlo in libro". E il libro, che quando uscì nel 1946 fu un successo, complice la fama di cui già godeva la piccola autrice, svelò anche il suo interesse per la pittura. "
Da piccola volevo diventare artista", confessa. "Ed ero anche molto prolifica".

Il passatempo preferito non durò a lungo, ma si trasformò in un altro, sicuramente più dispendioso: collezionare quadri (collezione è una delle parole chiave nel vocabolario esistenziale della diva: da piccola c’erano le bambole e gli animali, da grande i gioielli e i capolavori dell’800-900). E oggi, nel grande salone di casa sua, accanto alle sculture equestri realizzate dalla figlia Liza, c’è una parete tappezzata di tele impressioniste e post-impressioniste, qui un Monet e un Pissarro, là un Degas, un Modigliani e un Van Gogh, a lato tre Utrillo. "L’arte è qualcosa con cui sono nata (il padre era un noto gallerista che lavorò a lungo anche in Europa, ndr). E che mi ha catturato l’anima. Per studiare, mi bastava andare nello spazio del mio papà: lui mi ha insegnato tutto, io osservavo le pennellate, le dimensioni, l’armonia compositiva. Ho imparato così. La prima tela che ho acquistato era la veduta di un castello sul lago di Ginevra di Utrillo. Proprio lì avevo incontrato Richard Burton…". Già, Burton, l’amore scoppiato sul set di Cleopatra, proprio a Roma... Le chiedo allora se ha nostalgia dell’Italia, se ha intenzione di tornare. "Non è nei miei programmi immediati", risponde laconicamente. "Ma ho molti cari amici: Valentino, per esempio, di cui sono stata la prima cliente famosa, Gianfranco Ferré, e poi Franco Zeffirelli, cui sono legata in un modo davvero speciale".

Amore, amicizia, legami profondi: tutto questo trapela dalla sua conversazione e riaffiora nel portfolio di Weber, che ha colto di Elizabeth il lato più umano, intimo e autentico. "Lo conosco da almeno 15 anni, da quando mi ritrasse per la pubblicità di White Diamonds (uno dei suoi profumi; l’altra fragranza si chiama Elizabeth Taylor’s Passion, ndr). Adoro Bruce, è sensibile, ha un lovely sense of humor, e sa esattamente quello che sta facendo". Ed ecco le foto di lei con l’adorato bisnipotino, con le nipoti Leyla e Naomi Wilding, e con l’inseparabile cagnolino Sugar, che convive, viziatissimo, insieme a due gatti. Ed ecco ancora i bianchi e neri che tappezzano lo studio dove Tim Mendelsohn e le altre due segretarie sono perennemente al telefono, organizzando appuntamenti, interviste, apparizioni pubbliche.

Ci sono due ritratti dell’amatissimo Montgomery Clift che con Taylor recitò in pellicole memorabili – Un posto al soleL’albero della vitaImprovvisamente l’estate scorsa- c’è Roddy McDowall, l’Ottaviano in Cleopatra nonché il giovane partner dei primi film,Torna a casa Lassie! e Le bianche scogliere di Dover. E poi ecco Elizabeth con Edith Head, mitica costumista di Hollywood che lavorò con lei solo in Un posto al sole, e che fu amica per sempre. "Ci trovammo subito", dice, "ho anche trascorso molto tempo in casa sua, quando non volevo stare in albergo. Fuori dalla porta della mia stanza lei e suo marito avevano messo una targa: 'Elizabeth Taylor ha dormito qui'".

E poi c’è la foto degli Oscar: il primo vinto per Venere in visone, il secondo per Chi ha paura di Virginia Woolf, il terzo alla carriera. Fa un certo effetto prenderli in mano. "Sono pesanti, vero?", chiede lei non senza ironia. E aggiunge: "Il film che amo di più è Chi ha paura di Virginia Woolf. È stata una sfida. Avevo 32 anni e interpretavo una donna di 55. Ho dovuto cambiare tutto di me, persino la voce. Ricordo che il regista Mike Nichols, Richard Burton e tutti gli altri mi dissero: devi abbassare il tono: il tuo sembra quello di una ragazzina. E io risposi: posso farcela, datemi due settimane di tempo. E ci riuscii". Lo dice con una punta di orgoglio,quasi non si rendesse conto di quanto leggendarie siano state le sue performances cinematografiche e teatrali. C’è in lei ancora un che di meravigliosamente infantile. 
Yes, God save Elizabeth.
No, non la regina d’Inghilterra, ma quella, senza eredi, della dinastia di Hollywood.













































































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